Viaggio a Jerez de la Frontera
Giu 12th, 2009 by Uvetta
Ci sono andata per chiarirmi le idee. Sì perché non so voi, ma le innumerevoli volte che rimettendomi sui libri al capitolo vini speciali, sono arrivata con piacere e curiosità alla classificazione degli Sherry (sottotitolo ‘o Jerez o Xeres’), mi sono ritrovata con poche, pochissime certezze, quasi tutte solo in merito a Fino e Pedro Ximenez, e un gran bel numero di dubbi e punti interrogativi su tutto il resto. Avete presente tutte quelle tipologie così dette intermedie, e che in commercio in Italia praticamente non esistono, vie di mezzo tra Oloroso e Amontillado, e non meglio definiti ‘Cream’ ottenuti in vari modi, per non parlare delle informazioni stringatissime e poco chiare in merito a colori ambrati pallidi, aggiunte di alcool, invecchiamenti e tipicità. Ecco, tanto che, lo ammetto impavidamente, ho sostenuto più esami sulla materia vino, basandomi su schemini imparati a memoria, ma senza avere proprio presente di cosa stessimo parlando… fortuna che poi di solito le domande in materia si esauriscono in un bel nulla di fatto sul lievito flor o su qualche altra muffa.
Ora, sarà stata una fissa tutta mia, ma erano un po’ di anni che aspettavo di andare sul posto, approfittando delle altre bellezze offerte da quella regione meridionale della Spagna che è l’Andalusìa, per fare una vacanza di mare, visitare qualche bella città, e nel contempo gettare un po’ di luce molto professionale su quest’angolo buio della mia mente. E così sono tornata contenta e soddisfatta per essermi fatta un’idea di come gli andalusi bevano il loro vino (ma soprattutto la loro birra), di come siano molto meno interessati della media europea a questioni come temperature di servizio e abbinamenti, e soprattutto per aver scoperto che le bodegas sono grandi edifici a pian terreno (niente gallerie sotterranee, o quant’altro di romantico riconduca subito i nostri italianissimi pensieri all’invecchiamento del vino in cantina) e dove il vino, acquistato dai vinificatori, sosta in botti nere e impolverate a circa 22 gradi centigradi, che vista la latitudine è considerata una gran bella frescura.
Essendo comunque la mia iniziata e finita come una semplice vacanza, non sono stata molto metodica nell’organizzazione, ma una visitina da Lustau l’avevo concordata via e-mail prima di partire, stampato per benino tutti i documenti necessari, con indirizzo, cartina e recapiti telefonici. Ma eccomi al giorno fatidico dell’appuntamento, ed eccomi dimenticare bellamente tutto il plico in albergo a un centinaio di chilometri da Jerez, e rendermene conto, colta da un vago senso di smarrimento (panico), quando è veramente troppo tardi per tornare indietro (beh, perché? a voi non è mai capitato?). L’arrivo a Jerez in tarda mattinata è torrido, ma soprattutto è trafficato, caotico, moderno e con un ché di inospitale. Giriamo a vuoto una mezz’ora, cercando per forza di cose l’ufficio del turismo per ottenere lumi, ma di fatto tutto ciò di cui abbiamo bisogno si materializza davanti a noi sotto forma di indicazione stradale ‘Lustau bodegas’. Lì in una stradina secondaria e senza incroci, in un posto dove ti sembra perfettamente inutile mettere un’indicazione stradale, e dove chissà perché siamo magicamente passati noi. Zigzagando fra i sensi unici e le auto in doppia fila, arriviamo e parcheggiamo proprio davanti all’ingresso e siamo pure spudoratamente puntuali.
Ci riceve Isabel Ortegòn, dell’ufficio export, che ci guiderà nella visita e nella degustazione. Camminando tra le molte file di criaderas, Isabel ci fa notare come il suolo sia ricoperto di sabbia e ci spiega che le finestre vengono aperte e richiuse a seconda del vento, per mantenere il più possibile costanti la temperatura e l’umidità. Ci racconta un po’ di storia dell’azienda, del successo dei loro prodotti all’estero (in Inghilterra soprattutto), della filosofia qualitativa aziendale; in effetti Lustau è praticamente l’unica azienda a presentare un lungo e articolato listino di Almacenistas, ovvero di Sherry di singoli produttori non tagliati con altri, in modo tale da mantenere intatte caratteristiche e interpretazioni territoriali, oltre ad una discreta differenziazione tra le annate. Isabel ci mostra le botti molto vecchie, alcune con più di cento anni di vita, e ci spiega che sono le botti e la loro età a fare il valore dell’azienda. Come per tutte le grandi Bodegas di Sherry, qui non è mai entrato un acino di uva. Il vino viene interamente acquistato dagli Almacenistas, che a loro volta lo comprano dai vignaioli. Purtroppo non è possibile visitare nessun vigneto, per via delle operazioni di vendemmia che sono in corso proprio da pochi giorni e perché, a mia sensazione, l’enoturista mediamente non ha nessun bisogno di vedere la vigna per apprezzare il vino, la tiritera su soleras e flor basta e avanza per conquistarlo.
La degustazione di Fino, Manzanilla, Amontillado e Oloroso, è una vera lezione sul vitigno Palomino e sul metodo di invecchiamento Soleras. Sono tutti molto secchi, ma gli stili sono ben caratterizzati e le morbidezze sono messe in scala crescente di intensità e di equilibrio. Il Manzanilla di San Lucar de Barrameda spiegherebbe la sapidità di un vino molto meglio di un granello di sale sciolto in bocca. Parla e profuma di sabbia al sole, di brezza marina, di calore insopportabile mitigato solo dalle ore fresche del primo mattino. E’ l’essenza del microclima e di quella zona, e immaginarlo fresco a tavola con una frittura di pesce croccante servita all’ombra di un patio andaluso, è appagante oltre che esteticamente bello. Negli altri ci si accorge soprattutto di quanto l’avvolgenza di alcol e polialcoli sappiano rendere piacevoli i sentori ossidativi così pronunciati, rimarcati dalla totale assenza di zuccheri residui, in una sorta di equilibrio interno fra le morbidezze. Mi vengono in mente alcune tipologie di Marsala che mai ci sogneremmo di portare a tavola, e che invece sarebbero soluzioni affascinanti e innovative per abbinamenti davvero significativi, ad esempio su pesce affumicato e molluschi crudi.
In fine entra in scena il Pedro Ximenez. E’ bruno, con tonalità calde di legno di noce e riflessi biondi, di consistenza cremosa e aspetto impenetrabile. Profuma di sciroppo balsamico, tamarindo, datteri e uvetta, fichi caramellati, con note eteree e tostate molto evolute di miele e smalto, e ritorni di mandorla fresca e cacao amaro. In bocca continua la sensazione di caramello, accompagnata da una vena fresca e sapida che fa da spina dorsale alla dolcezza fittissima e avvolgente. Finale dolce, dolce e ancora dolce. Qui pensare ad un abbinamento è quasi difficile, e l’unica soluzione che mi viene in mente è il classico fine pasto tutt’al più accompagnato da un croccantino al sesamo; ma Isabel ci suggerisce invece di provarlo per affogare una coppa di ‘vanil italian ice-cream’… Beh, in effetti, come darle torto?
Uvetta, agosto 2007
Pues te escribo desde Jerez porque soy jerezana. Siento el caos a tu llegada y me alegra, eso sí, que te gustara la visita a la bodega.
Si lo hubiera sabido, hubiera estado encantada de hacerte de Cicerone.
Te mando un beso grande sin gluten
Bei viaggi in terra spagnola, io andró presto a metá luglio a Barcellona.
Ho provato la tua ricetta della coppa Malú! Una cosa ECCEZIONALE!
La rifaró ancora ;-)
iLa
Zerogluten, ciao! alla prossima volta! :-)
iLa cara, divertiti in Spagna allora! …mmmm devo rifarla anch’io la coppa malù :P
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Cuando no hay una enfermedad crónica conocida, la muestra sanguínea de las hormonas de la tiroides, de la testosterona y de la prolactina es necesaria para determinar si hay un ambiente hormonal adecuado para la erección. Pero uno de los síntomas más comunes, aunque menos comentados, de la depresión es la disfunción eréctil.
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