Viaggio a Tokaj
Giu 12th, 2009 by Uvetta
Finalmente ha smesso di piovere, è una mattina chiara, il cielo è azzurro e il sole risplende caldo e asciuga le ultime pozzanghere qua e là. I corsi ampi e le numerose vie di Budapest sono intasati e caotici eppure, presumo per semplice spirito vacanziero, uscire dalla città su questa station wagon tutta bianca, noleggiata in hotel per la giornata, ci sembra un percorso semplice e tutto sommato breve. Passata la stazione di Kelèti e la sua piazza affollata, ci dirigiamo verso nord est. Un po’ come ai margini di qualsiasi grande metropoli, attraversando la periferia lo scenario cittadino cambia totalmente rispetto al centro. Niente più grandi alberghi, niente palazzi storici in stile e bei negozi, i caseggiati si susseguono sempre più enormi, spenti e anonimi, rigorosamente privi di balconi e tutti uguali. Quel che qui mi pare del tutto inedito è che da qualche ponteggio sbucano facciate appena rimesse a nuovo, e sfoggiano improbabili colori vivacissimi dal rosa al rosso al verde acido, come a simboleggiare una libertà quasi sfrontata, un maquillage chiassoso ma allegramente tonico, in qualche modo in perfetto stile ungherese.
Non so bene che tipo di realtà vitivinicola aspettarmi. L’organizzazione turistica vista da casa sembrava di buon livello, con tanto di Strada del Vino Tokaj costellata di cantine e vignaioli. Non voglio vedere le aziende ‘classiche’, vorrei piuttosto capire la realtà produttiva di un vino mitico, in un paese fortemente nazionalistico, con mille anni di storia, a proposito del quale fuori dai confini arriva troppo poco. Vorrei soprattutto godermi la visita alla zona di produzione di un vino tra i più affascinanti al mondo e allo stesso tempo più lontana dai nostri pensieri di ‘addetti ai lavori’, presi come siamo a rincorrere i must nostrani o al più quelli francesi. Di conseguenza non ho fissato nessun appuntamento, approcciamo l’evento con curiosità escursionistica e senza volerlo dominare.
L’autostrada per Debrecen è sgombra, due corsie soltanto ma più che sufficienti, gli automezzi sono pochissimi ed è lunedì mattina. Si apre davanti a noi un panorama pianeggiante, fatto di campagna ordinata, verdissimo e luminoso, a perdita d’occhio. Dopo circa un’ora e mezza di viaggio prendiamo la diramazione per Mostolk e poi la statale per Tokaj; qui si susseguono i cantieri stradali, con enormi macchinari e segnaletica per la verità un po’ scarsa, stanno raddoppiando la carreggiata. Enoturisticamente mi dico ’buon segno…’
Da qui iniziano i vigneti. Davvero belli. Colline dolcissime costeggiano il lato sinistro della strada per parecchi chilometri, a destra scorre il fiume. Dappertutto ci sono piccole botti ‘bor’ a segnalare la vendita di vino fatto in casa. Facciamo tappa a Tokaj, nostra meta che subito si trasforma in punto di partenza. La cittadina è piccola, le vigne tutt’intorno verdeggiano anche qui, le vie e gli edifici sono ben curati, le indicazioni stradali lo sono invece molto meno. Il museo del vino è sbarrato, peccato, visitarlo mi era sembrata un’idea carina - ma d’altronde è mezzogiorno e in giro non c’è nessuno. L’ufficio turistico è introvabile, segnalato solo sulla carta stradale che abbiamo preso a Budapest. Comunque, dopo aver chiesto indicazioni in una pizzeria (!) sulla piazza principale, lo troviamo in una stradina secondaria, l’insegna è un foglio di carta attaccato al vetro. La ragazza che ci accoglie è gentilissima, si fa in quattro per cercarci il materiale che ci interessa scegliendo bene tra gli innumerevoli dèpliants e le mappe a disposizione; parla bene l’inglese ma si scusa perchè conosce meglio il tedesco, ci consiglia di cuore un paio di aziende da visitare basandosi sulla bontà dei vini che lei stessa ha assaggiato e apprezzato, ci fissa addirittura un appuntamento telefonando a un produttore e ci spiega perfettamente la strada per Erdobenye. Mezz’ora dopo siamo sul posto. Berès Wine Estate.
I fabbricati sono nuovissimi, le vigne invece sono vecchi impianti a guyot e tutt’intorno c’è solo campagna. Ci riceve Hedvig direttrice dell’export, che per due ore due ci racconta senza risparmiarsi la storia recentissima dell’azienda, della vocazione climatica della zona, la rinascita del Tokaj, passando dalle cooperative del regime all’imprenditoria straniera arrivata da più o meno quindici anni, e finalmente arrivando a qualche ricco ungherese come il suo titolare, imprenditore farmaceutico, che due anni fa compra 90 ettari di terra, di cui 45 - per ora - impiantati a vigneto, assume un architetto ungherese e tutto il corollario di alte professionalità necessarie a quest’impresa e costruisce quello che vediamo che è uno splendido, modernissimo e attrezzatissimo complesso, perfettamente integrato nel territorio. Hedvig ci guida nella visita alla cantina tra scale in legno massiccio e corridoi di tufo bianco, e ci spiega la dislocazione delle sale, le vasche in acciaio inox, la macerazione delle uve, le temperature controllate, la barricaia (di barrique ungheresi), i puttonyos e poi la galleria sotterranea, dove il cladosporium è appena nato e nel giro di qualche anno renderà i muri tutti neri ma indispensabili per quell’alchimia che è un Tokaj Aszù come si deve. In fine entriamo in un’enorme sala di rappresentanza con almeno dieci metri di vetrata panoramica sui vigneti, dove degustiamo la gamma pressochè completa di vini dell’azienda, dal Moscato secco aromatico e fresco al Furmint in purezza, fermentazione con macerazione e batonage sue lie dalla sapidità impressionante e dal profumo unico, al Margit - campione di vasca, assemblaggio di varietà autoctone ispirato alla leggenda di una bellissima e appassionata donna del luogo - dal Tokaji Szamorodni secco, questo direi che mi era proprio sconosciuto- al Tokaji Aszù 5 Puttonyos, dolce, fittissimo, fresco, memorabile. Prima di andare ci invitano a firmare il guestbook, e siamo i primi in assoluto…. fantastico!
E’ pomeriggio. Proseguiamo per la visita ad una seconda azienda a una decina di chilometri, Disznòkò. Krisztina, studentessa dell’Istituto Turistico assunta per l’estate ci fa da guida, è cordialissima ma agitata perchè in inglese non si sente preparata tanto più che noi siamo professionisti del settore vinicolo (!), invece anche lei sarà bravissima persino nei dettagli più tecnici. Ci porta per prima cosa nei vigneti, la terra è ghiaiosa e ciottolosa, di calcare bianco e farinoso, fa pensare al gesso. La vigna è coltivata ad alberello, le piante sanissime e rigogliose, si interviene con macchine agricole per quasi tutti i lavori stagionali, tranne che per la vendemmia che davvero non potrebbe che essere manuale. Parliamo di acinellatura, di donne che passano qui le giornate ancora tiepide di fine ottobre e di novembre, scegliendo con sapienza e dedizione gli acini più bruni e appiccicosi per portarli con le gerle in cantina, pochi chili per volta.
Da qui si gode di una vista splendida sul territorio disseminato di vigneti sui pendii battuti dal sole a sud ovest e riparati dal vento a nord est. L’azienda è di proprietà di un grosso gruppo finanziario francese, comprende 100 ettari vitati e una cantina avveniristica, dotata come è ovvio del meglio della tecnologia, compreso un laboratorio sperimentale di microvinificazione e ricerca enologica. Storicamente la cantina era annessa a un ristorante che è stato mantenuto e in cui più tardi avremo modo di apprezzare il migliore, unico e con ogni probabilità irripetibile Tokajer Porkolt del nostro viaggio (gustosissimo spezzatino di manzo cotto con vino Tokaj, cipolle e zafferano). Visitiamo le gallerie sotterranee: qui il cladosporium ha dieci anni di vita, copre i muri come un tessuto spesso e pesante ed è quasi tutto nero, qua e là trasuda l’umidità dalla roccia. Le file di barrique si susseguono in diversi corridoi, la temperatura è molto bassa e l’aria è intrisa di un odore intenso di vinosità, frutta matura e muffa dolciastra. E poi l’emozione più autentica: vedere infondo al corridoio, tra le cataste di qualche migliaio di bottiglie in affinamento, alcune grandi ampolle di vetro in cui è custodito il nettare, l’Eszencia. L’affinamento in legno non lo potrebbe fare: é talmente ricco di zucchero e povero di acqua che il legno la assorbirebbe completamente, di fatto distruggendolo. In pochi metri quadri sono racchiusi nel loro riposo sotto chiave all’incirca 400 litri di questo miracolo di dolcezza, e qui davvero so di essere privilegiata.
Prima della degustazione ci viene chiesto chi di noi debba guidare l’automobile, e ci viene gentilmente suggerito che solo l’altro assaggi. La sala di degustazione è ricavata in un’ennesima galleria sotterranea attrezzata con numerosi tavoli e arredi d’epoca. Il freddo è quasi pungente, ed è un vero peccato che la luce sia proprio poca. Assaggiamo un Furmint secco non memorabile (ma a dirla tutta era proprio ghiacciato) il Tokaj Szamorodni dolce davvero delizioso e l’Aszù 5 Puttonyos, possente e ben definito.
E’ quasi sera. Risalendo in auto ho la sensazione di essere andata oltre i confini che la mente traccia inconsciamente alle nostre possibilità. La giornata è volata via piena ed intensa, ma pensiamo che restare qualche altro giorno sarebbe doveroso oltre che bellissimo. Sto lasciando Tokaj, un territorio che non mi ero immaginata, e di cui conoscevo giusta giusta quella paginetta che si studia sui libri al capitolo ‘Vini da dessert’. Ci rimangono nella mente i profumi del Furmint nelle più varie sue declinazioni, le persone cordiali e aperte, la giovane intraprendenza che sa bene dove affondare le proprie radici, la varietà di prodotti tutti di altissimo livello, ben collocati (e consumati) sul mercato interno molto prima che su quello internazionale. La gente di una terra fiera, che nelle vene ha lo slancio e il desiderio di affermare, difendere e divulgare quanto di più buono e positivo sa produrre. Su questo si fonda la rinascita del Tokaj, sulla storia di una mappa della zona di produzione regolamentata ed immutata da oltre cinquecento anni, su un territorio a vocazione difficilmente replicabile, un microclima che è una grazia ultraterrena e un insieme di vitigni gelosamente autoctoni mai esportati altrove, né mai contaminati da seducenti quanto inutili importazioni alloctone.
Uvetta, giugno 2007
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